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Cibo

Poesia

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Il cibo e il linguaggio sono strettamente legati tra loro, sono entrambi il frutto di una serie di simboli e significati che l’uomo ha  voluto racchiudere in essi, creando un codice strettamente legato  alla sua esistenza.

L’acqua diviene il simbolo della purificazione e della vita, il pane è il simbolo della comunione, il riso della fecondità, il  vino del sangue, ma anche segno di ebbrezza, eccesso e passione, i cibi zuccherini sono sostegno per l’anima e per il corpo, affaticati e prostrati dal mal d’amore, l’olio e il miele alludono alla bellezza e alla dolcezza.

Uno dei poeti che ha più che mai cantato il cibo è stato Pablo Neruda. Nelle “Odi elementari” ad esempio egli canta cibi semplici, quotidiani: il pane, la cipolla, la mela, il pomodoro, esaltandone l’unicità e  la bellezza. Essi acquistano agli occhi del lettore un evidente valore poetico, allusivo di sentimenti e sensazioni che il poeta ha vissuto nell’infanzia e nell’adolescenza, nel momento in cui è avvenuto il primo incontro con le piccole cose, umili,  ma indispensabili per la vita.  

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Pablo Neruda

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Ode al pomodoro

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La strada
si riempì di pomodori,
mezzogiorno,
estate,
la luce
si divide
in due meta’
di un pomodoro,
scorre
per le strade
il succo.
In dicembre
senza pausa
il pomodoro,
invade
le cucine,
entra per i pranzi,
si siede
riposato
nelle credenze,
tra i bicchieri,
le matequilleras
la saliere azzurre.
Emana
una luce propria,
maestà benigna.
Dobbiamo, purtroppo,
assassinarlo:
affonda
il coltello
nella sua polpa vivente,
è una rossa
viscera,
un sole
fresco,
profondo,

inesauribile,
riempie le insalate
del Cile,
si sposa allegramente
con la chiara cipolla,
e per festeggiare
si lascia
cadere
l’olio,
figlio
essenziale dell’ulivo,
sui suoi emisferi socchiusi,
si aggiunge
il pepe
la sua fragranza,
il sale il suo magnetismo:
sono le nozze
del giorno
il prezzemolo
issa
la bandiera,
le patate
bollono vigorosamente,
l’arrosto
colpisce
con il suo aroma
la porta,
è ora!
andiamo
!e sopra
il tavolo, nel mezzo
dell’estate,
il pomodoro,
astro della terra,
stella
ricorrente
e feconda,
ci mostra
le sue circonvoluzioni,
i suoi canali,
l’insigne pienezza
e l’abbondanza
senza ossa,
senza corazza,
senza squame né spine,
ci offre
il dono
del suo colore focoso
e la totalità della sua freschezza.

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Ode all'olio

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Accanto al frusciare
del cereale, tra le onde
del vento sull’avena,
l’ulivo
dal volume argentato,
stirpe austera,
nel suo ritorto
cuore terrestre:
le gracili
ulive
lucidate
dalle dita
che fecero
la colomba
e la chiocciola
marina:
verdi,
innumerevoli,
purissimi
picciuoli
della natura,
e lì
negli
assolati
uliveti,
dove
soltanto
cielo azzurro con cicale
e terra dura
esistono,

il prodigio,
la capsula
perfetta
dell’uliva
che riempie
il fogliame con le sue costellazioni:
più tardi
i recipienti,
il miracolo,
l’olio.
Io amo
le patrie dell’olio,
gli uliveti
di Chacabuco in Cile,
al mattino
le piume di platino
forestali
contro la rugosa
cordigliera,
ad Anacapri, là su,
nella luce tirrena,
la disperazione degli ulivi,
e nella carta d’Europa,
la Spagna,
cesta nera di olive
spolverata di fiori d’arancio
come da una ventata marina.
Olio,
recondita e suprema
condizione della pentola,
piedistallo di pernici,
chiave celeste della maionese,
delicato e saporito
sulle lattughe
e soprannaturale nell’inferno
degli arcivescovili pesciprete.
Olio,
nella nostra voce, nel
nostro coro,
con
intima
mitezza possente
tu canti:
sei lingua
castigliana:
ci sono sillabe di olio,
ci sono parole
utili e profumate
come la tua fragrante materia.
Non soltanto il vino canta,
anche l’olio canta,
vive in noi con la sua luce matura
e tra i beni della terra
io seleziono,
olio,
la tua inesauribile pace,
la tua essenza verde,
il tuo ricolmo tesoro che discende
dalle sorgenti dell’ulivo.

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Ode al pane

 

Del mare e della terra faremo pane,

coltiveremo a grano la terra e i pianeti,

il pane di ogni bocca,

di ogni uomo,

ogni giorno

arriverà perché andammo a seminarlo

e a produrlo non per un uomo

ma per tutti,

il pane, il pane

per tutti i popoli

e con esso ciò che ha

forma e sapore di pane

divideremo:

la terra,

la bellezza,

l’amore,

tutto questo ha sapore di pane.

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Il vino ha poi da sempre ispirato la letteratura sin dall’antichità, è il cerimoniere per eccellenza, l’elemento indispensabile del simposio, è linfa inebriante che lega l’uomo alla terra, oblio degli affanni nella poesia di Alceo di Mitileno e di Catullo. E’ immagine del paesaggio autunnale e della gioia di vivere nella poesia di Jorge Luis Borges.

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Jorge Luis Borges

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Sonetto al vino

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In quale regno, in quale secolo, sotto che silenziosa
congiunzione d’astri, in che giorno segreto
che il marmo non ha salvato, sorse la valente
e singolare idea di inventare l’allegria?

 

Con autunni dorati la inventarono. Il vino
fluisce rosso attraverso le generazioni
come il fiume del tempo e nell’arduo cammino
ci prodiga la sua musica, il suo fuoco, i suoi leoni.

 

Nella notte del giubilo o nella giornata avversa
esalta l’allegria o mitiga lo spavento
e il nuovo ditirambo che in questo giorno gli canto

 

lo cantarono un tempo il persiano e l’arabo.
Vino, mostrami l’arte di vedere la mia stessa storia
come se questa fosse già cenere nella memoria.

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Vale la pena infine di citare la poesia “La cipolla” della Wislawa Szymborska costruita su una sapiente e audace, quanto satirica,  analogia tra l’anatomia della cipolla e del corpo umano dal cui confronto scaturisce ironicamente la sua perfezione. Essa è nel succedersi di strati sempre uguali, che costruiscono il “più bel ventre del mondo” l’antitesi perfetta a “grasso, nervi, vene, muchi e secrezione” umani; essa è simbolo di idiota, ed essenziale, perfezione cui si oppone la contorta anatomia della sofferenza umana.

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Wislawa Szymborska 

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La cipolla

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La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.

In noi ignoto e selve
di pelle appena coperti,
interni d’inferno,
violenta anatomia,
ma nella cipolla – cipolla,
non visceri ritorti.
Lei più e più volte nuda,
fin nel fondo e così via.

Coerente è la cipolla,
riuscita è la cipolla.
Nell’una ecco sta l’altra,
nella maggiore la minore,
nella seguente la successiva,
cioè la terza e la quarta.
Una centripeta fuga.
Un’eco in coro composta.

La cipolla, d’accordo:
il più bel ventre del mondo.
A propria lode di aureole
da sé si avvolge in tondo.
In noi  grasso, nervi, vene,
muchi e secrezioni.
E a noi resta negata
l’idiozia della perfezione.

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Anche nella scelta dei testi è stato privilegiato un approccio interculturale, scegliendo autori che rappresentano la cultura extraeuropea: Pablo Neruda, Jorge Luis Borges e Wislawa Szymborska.

Gli studenti hanno tratto ispirazione così dai versi di questi poeti per ritrarre i particolari del cibo cantato e celebrato nella loro poesia, provando a tradurre in immagini il valore che questi semplici e umili alimenti hanno assunto nel linguaggio poetico.

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